Capitolo 5. ALL’AVVENTURA

di Domenico Calabrese

Mentre Paco guariva pian piano, noi ci preparammo a partire per andare nella valle. Prendemmo tutte le nostre cose e le mettemmo nello zaino, ma quel giorno non potemmo partire, poiché era già pomeriggio e noi volevamo partire di mattina. Nell’attesa che facesse buio esploravamo e scattavamo foto. Arrivata la notte ci raccontammo storie e barzellette, parlammo di ciò che ci piaceva ma, anche se non lo davamo a vedere, pensavamo sempre ai nostri genitori e ai nostri amici ed eravamo in pensiero per loro. Ci addormentammo veramente tardi, ma di notte, anche se eravamo davvero stanchi, dovevamo alzarci a turno per tenere acceso il fuoco. Paco non dormiva tanto, gironzolava in giro senza andare oltre il fuoco, perché con noi si sentiva protetto e sapeva che da solo non sarebbe sopravvissuto. Il mattino dopo io e Gianni ci alzammo allo stesso momento perché Paco faceva versi. Aveva fame, come al solito, e anche noi eravamo affamati. Mangiammo e ci mettemmo gli zaini in spalla: eravamo pronti a partire. Paco stava un po’ meglio, ma dopo aver percorso poca strada non riusciva più ad andare avanti e doveva fermarsi. Iniziammo a camminare verso la valle, c’era molta strada da fare ma io e Gianni ci eravamo abituati, eravamo abituati a stare tra gli alberi. Ogni tanto, quando Paco era stanco, lo mettevamo nei nostri zaini. Ad un certo punto sentii un rumore inconfondibile, il rumore di un ruscello, infatti dopo poco ne incontrammo uno. Ci avvicinammo e prendemmo dallo zaino le nostre borracce, bevemmo e posammo tutto negli zaini, quando all’improvviso dall’altra sponda un gruppo di Velociraptor sbucò da dietro le rocce. Paco si rannicchiò dentro il mio zaino. I Velociraptor corsero verso la riva opposta: a dividerci c’era solo un metro d’acqua, con una semplice nuotata ci avrebbero raggiunto. Si misero a comunicare tra di loro, non sapevamo cosa fare; ad un certo punto smisero di comunicare e ci puntarono: erano pronti ad attaccare. Ad un tratto, ad una cinquantina di metri da dove ci trovavamo, un potente ruggito catturò la nostra attenzione e soprattutto quella dei Velociraptor. Era uno Spinosauro! Lo Spinosauro era una macchina da guerra da diciotto metri di lunghezza, era il predatore terrestre più forte mai esistito, aveva artigli lunghi venti centimetri: anche un Tirannosauro non aveva molte speranze contro di lui! Gli piaceva stare vicino ai corsi d’acqua e mangiava principalmente pesce. Ancora oggi non si sa di preciso a cosa servisse la sua vela: alcuni dicono gli servisse per nuotare, mentre altri ipotizzano che gli servisse per modificare la propria temperatura corporea.