Capitolo 1. LA SCOPERTA

di Domenico Calabrese

Era un pomeriggio d’estate, faceva molto caldo ed io ero un po’ sudato, stavo giocando con la mia Nintendo Switch quando, ad un certo punto, mi chiamano al telefono. Guardai lo schermo e vidi che a chiamare era Gianni, un mio caro amico che conoscevo fin dall’asilo e che abitava ad un chilometro da casa mia. Gioco sempre con lui, soprattutto d’estate quando le giornate sono più lunghe. Quel pomeriggio non volevo uscire perché mi annoiavo, mi tolsi le cuffie e risposi al telefono: lui era spaventato, aveva il fiatone, e capii subito che era successo qualcosa di scioccante: non l’avevo mai sentito in quel modo! Iniziò a parlarmi e mi disse: “Devi venire a casa mia, è successa una cosa assurda! Devi venire subito, non so cosa sia!”. Gli risposi: “Ok, arrivo. Stai calmo e non ti agitare”. Corsi giù per le scale e quando arrivai alla porta d’ingresso mia mamma mi chiese: “Dove stai andando?”; risposi: “A casa di Gianni”. Andai di corsa in garage e presi la mia bicicletta. Avevo un’ansia mai provata prima, ma comunque filavo via come un missile in quella strada, già percorsa tantissime volte. Svoltai a destra e subito vidi la casa di Gianni e accanto ad essa un potentissimo fascio di luce che arrivava fino al cielo. Lasciai cadere la bici ed entrai di corsa nel giardino, continuando a guardare quel fascio di luce, curiosissimo di scoprire cosa fosse; ma la preoccupazione per il mio amico era più forte. Con gli occhi sbarrati mi precipitai davanti al portone di casa sua, lo aprii ed entrai. La scena che mi si presentò davanti mi fece sobbalzare: il padre di Gianni era steso a terra con una ferita sanguinante al sopracciglio sinistro e appena lo vidi pensai fosse morto, ma poi mi accorsi che ancora respirava, così mi tranquillizzai. La casa era sottosopra e mi misi a chiamare: “Gianni, Gianni!” e sentì la sua voce chiamarmi. Proveniva da sinistra quindi, probabilmente, si trovava nella sua camera. Entrai di corsa, la camera era a soqquadro, mi guardai attorno e vidi Gianni rannicchiato sotto il suo letto con il telefono in mano, con le cuffie da gioco alle orecchie, perché prima dell’accaduto stava giocando anche lui. Era sconvolto e pallido, quasi stordito; pian piano mi avvicinai a lui e gli chiesi: “Raccontami cosa è successo, con calma”. Iniziò a parlarmi con voce tremolante e mi disse: “Stavo giocando, quando dalla mia finestra entrò una luce potentissima, e ci fu un boato talmente forte che tutto iniziò a tremare e cadde a terra”. Effettivamente a casa mia, prima che Gianni mi chiamasse, ci fu una piccola scossa che io pensai fosse un terremoto. Continuò: “Dopo del boato mi fischiarono così forte le orecchie che stavo per svenire, ma riuscii a resistere grazie alle cuffie, che hanno affievolito di molto il rumore. E poi dicono che i giochi fanno male!”. Lo aiutai ad alzarsi – gli tremavano le mani e le gambe – ma stava bene. Mi chiese come stesse suo padre e gli risposi che era svenuto dopo l’accaduto. Nel giardino di casa sua c’era ancora quella luce, ma si era indebolita molto, permettendoci di avvicinarci. Il quartiere era deserto, probabilmente erano tutti svenuti come il padre di Gianni. Il terreno era crepato e dalle spaccature usciva fumo; l’erba era bruciata e i fiori, pur essendo molto distanti, erano completamente secchi. Mi resi conto che, poco lontano da noi, si trovava qualcosa di molto strano: capimmo subito cosa fosse. Io dissi: “Ma questo è…” e Gianni continuò : “…un portale!”